La montagna reggiana ha un futuro?


 
La montagna reggiana ha un futuro?

  “Andamento demografico dei Comuni dell’Appennino Reggiano” Dati presentati dalla Dott.ssa Elena Donati - Direzione Centrale ISTAT - al convegno "Appennino reggiano  Progetti di Futuro" (Parco Tegge 12/10/2022)       

Tra il 1951 e il 2020 solo Castelnovo ne’ Monti vede crescere la sua popolazione, tutti gli altri comuni registrano un calo. In particolare Vetto, Villa Minozzo e Ventasso vedono, in 70 anni, più che dimezzata la propria popolazione. In generale nei 70 anni considerati l’insieme dei comuni dell’Unione registra un calo prossimo al 40% mentre, nello stesso periodo, tutta la provincia di Reggio Emilia assisteva ad un incremento del 35,1%.

Se si confronta l’andamento dei primi 50 anni con l’ultimo ventennio si può notare che solo Casina pare aver invertito l’emorragia di popolazione iniziata nel dopo guerra.

Osserviamo infine come la popolazione dell’Unione rappresentasse, nel 1951, quasi il 14% di tutta la popolazione della provincia di Reggio Emilia e sia ora solo poco più del 6%.

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Il “sistema Appennino” ha imboccato – da tempo - una spirale in cui ad una popolazione che cala fa seguito una diminuzione sia delle imprese che dei servizi pubblici che produce, a sua volta, un ulteriore calo dei residenti e così di seguito. Questa spirale sta conducendo vaste zone della nostra montagna a quello che i demografi chiamano il “punto di non ritorno”. Traendo ispirazione da un celebre film di Kubrik, è stato osservato (la battuta non fa ridere ma i dati demografici sono impietosi) che il futuro dell’alto crinale, in queste condizioni, è un film dal titolo “2040 odissea nell’Ospizio”. Dando per scontato che questo futuro non sia gradito (almeno ai montanari!) è indispensabile scrivere subito una sceneggiatura diversa chiedendo ai decisori pubblici se hanno la volontà di intervenire e la visione per realizzare un futuro diverso.

Il riequilibrio del territorio significa creare nei luoghi disagiati occasioni di lavoro che consentano il sostentamento dei nuclei famigliari: senza questa consapevolezza l’Appennino è destinato alla emarginazione definitiva. Nel saggio “Il malessere demografico in Italia” il prof. Antonio Golini demografo di fama internazionale (che intervenne ad una iniziativa sul “Declino demografico” che organizzai a Marola venti anni fa), scrive una considerazione che egli stesso definisce cinica e che merita di essere citata: “”Il malessere demografico dei piccoli e piccolissimi comuni montani potrebbe essere visto come un modo indolore di razionalizzare insediamenti di popolazioni … oramai considerati non più sostenibili dal punto di vista della organizzazione del territorio. Infatti la loro rivitalizzazione socioeconomica ….  richiederebbe investimenti produttivi e/o infrastrutturali troppo onerosi e poco accettabili dalla corrente sensibilità ambientalista. In questa ipotesi si potrebbe attribuire al ‘laissez faire’ delle autorità centrali e locali precisi – anche se non consapevoli e non sempre auspicabili – significati e obiettivi””.

Un dato incontrovertibile è che l’Appennino non può fronteggiare una situazione straordinaria con la normale amministrazione. Un secondo dato incontrovertibile è che il peso elettorale del nostro appennino si è più che dimezzato e questo agevola il "laissez faire" di cui scrive Golini!

Agli Amministratori e decisori pubblici va detto che è ancora possibile invertire la rotta: servono, però, scelte amministrative diverse da quelle fino ad oggi realizzate in materia di programmazione territoriale e sostegno alle aree deboli.

Propongo di valutare questi interventi straordinari:

1)    Dare seguito  (meglio tardi che mai) ad una legge del Parlamento (Legge 31/01/1994 n. 97 - Nuove disposizioni per le zone montane – art. 14) che testualmente recita: “Il CIPE e le Regioni emanano direttive di indirizzo tendenti a sollecitare e vincolare la pubblica amministrazione a decentrare nei comuni montani attività e servizi dei quali non è indispensabile la presenza in aree metropolitane, quali istituti di ricerca, laboratori, università, musei, infrastrutture culturali, ricreative e sportive, ospedali specializzati, case di cura e assistenza, disponendo gli stanziamenti finanziari necessari”. A nessuno sfugge la straordinaria opportunità rappresentata dall’insediamento nei Comuni più svantaggiati dell’alto crinale del nostro Appennino (Villa Minozzo, Vetto e Ventasso) di uno fra gli organismi elencati dalla legge citata. In una economia che langue anche poche famiglie che si insediano significano molto (asili nido, scuole, esercizi pubblici,…) e altrettanto importante risulterebbe il messaggio di riequilibrio del territorio verso la pubblica opinione. Dove sta scritto che tutto deve essere insediato a Bologna o lungo l’asse della Via Emilia?. Il primo organismo da spostare in Appennino dovrebbe essere l’Assessorato regionale  alla Montagna.

2)    Valorizzazione delle Fonti di Poiano. Verificare la fattibilità di un intervento (da parte di soggetti privati) per lo sfruttamento di queste acque. Negli anni settanta e ottanta del secolo scorso sono stati fatti studi e progetti approfonditi (Studio Basini e Della Sala ed altri ancora,) col sostegno della CCIAA per lo sfruttamento termale di queste abbondanti e preziose acque. Le conclusioni di allora, con importanti ricadute occupazionali, sono ancora attuali?, gli enti locali sono in grado di garantire tutte le condizioni urbanistiche, i permessi, le concessioni di sfruttamento a imprenditori che intendessero realizzare un investimento?. In caso affermativo occorre che la Regione si faccia carico di proporre al mercato degli investitori questa opportunità pretendendo garanzie in termini di posti di lavoro. 

3)   Valorizzazione sostenibile della straordinaria ricchezza rappresentata dalle foreste appenniniche. Gli “Accordi di foresta” consentono la realizzazione di progetti, ad esempio, per la filiera del faggio che rappresenta una risorsa di pregio per il comparto dei mobili dell'industria nazionale. Questa filiera è una alternativa molto più gratificante della destinazione del faggio a legna da ardere!. Per la delicatezza degli equilibri ecologici da garantire, la necessità di adeguata formazione professionale e la necessità di una visione di mercato appropriata, serve un intervento della Regione che possa valorizzare una ricchezza capace di garantire occupazione e radicare, sul territorio, nuclei familiari stabili.

E queste ulteriori iniziative ordinarie:

a)    Creazione di percorsi che valorizzino le preziose “fontanine” di cui è ricco l’Appennino. Da Quara al Passo di Pradarena passando da Costabona, Villa Minozzo, Minozzo, Sologno, Cerrè Sologno, Piolo, Casalino, Ligonchio, Ospitaletto, ci sono molte fontane che meritano una più accurata valorizzazione (informazioni, tabelle organolettiche delle acque, attrezzature per la sosta,…). Probabilmente un Progetto su questo tema potrebbe ricevere attenzione e risorse dalla UE soprattutto se presentato dagli stessi Enti locali;

b)   Deroga per feste locali delle varie Proloco. Le normative e gli adempimenti antiterrorismo hanno sterilizzato le numerose attività che nei tanti borghi del nostro appennino venivano realizzate da Proloco, Parrocchie, abitanti di borghi, in occasione di Feste patronali, sagre, ricorrenze o per serate estive in allegria. Occasioni semplici, sempre con cibo e prodotti di ristoro a costi popolari, molto gradite da turisti e visitatori che non vengono più proposte per le onerose incombenze e le pesanti responsabilità a carico degli organizzatori e che tolgono animazione, presenze e impoveriscono un territorio già fragile.

c)   Sostegno finanziario alle Proloco che dimostrano la capacità di richiamare e intrattenere turisti e visitatori e di valorizzare il loro territorio con idee e iniziative documentate e verificabili.

Giuseppe Bonacini

 


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