Balie in appennino
BALIE IN APPENNINO
«Donne che, appena partorito, lasciavano i nati, e col seno turgido e riboccante di latte, andavano a nutrire i figli altrui». Con queste parole, in un saggio del 1905, viene descritta l’avventura di tante italiane che hanno scritto una pagina pressoché sconosciuta dell’epopea migratoria sviluppatasi nella seconda metà del XIX secolo.
Quante sono le donne del nostro appennino che nel secolo scorso sono andate a balia? Tante ma il loro numero non lo conosciamo. Una scelta difficile e necessaria per aiutare il magro bilancio delle famiglie alle prese con tante bocche da sfamare e poche risorse, soprattutto nel nostro appennino. Una storia dimenticata, quella di chi non aveva altre risorse da offrire se non il proprio latte di madre, il cui contributo economico, però, è stato rilevante per le loro famiglie.
Le balie allattavano i figli della agiata borghesia, dei nobili e dei benestanti. ll baliatico veniva esercitato anche per le istituzioni che curavano i piccoli abbandonati e come attività per l’estero. In questo ultimo caso erano sorte anche apposite agenzie che si occupavano del collocamento delle balie. Per questo mercato erano le regioni del nord Italia quelle da cui partivano le balie in particolare per Francia, Svizzera e Austria mentre dalla Calabria le balie si dirigevano verso il Nord Africa e soprattutto l’Egitto per le famiglie dei tecnici che lavoravano al canale di Suez. La Francia, comunque, era il paese più attrattivo.
In Balie, “la via del latte” Giorgio Paolucci sul quotidiano Avvenire (23/02/2016) scrive: “In alcuni casi il baliatico diventa un’occasione di impiego in un’ottica che oggi potremmo chiamare di ‘riconversione occupazionale’. Tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi del Novecento migliaia di donne italiane trovano posto nel settore tessile transalpino, in particolare nei distretti della lavorazione della lana e del cotone. Ma per molte di loro il matrimonio, e più ancora la gravidanza, costituiscono la fine dell’esperienza lavorativa: non sono rari i casi di imprenditori che inseriscono nel contratto una clausola con la quale la lavoratrice si impegna a non rimanere incinta, pena il licenziamento. A volte, però, il concepimento di un figlio può rappresentare l’anticamera di una nuova esperienza lavorativa: quella del baliatico. Le vicende umane delle balie italiane all’estero sono uno dei capitoli ancora poco esplorati dell’emigrazione femminile italiana, che pure rappresenta un aspetto importante del grande movimento in uscita che ha accompagnato per decenni la storia del nostro Paese”. Tra il 1876 e il 1915 sono espatriate dall’Italia 14 milioni di persone, tra cui 2 milioni 600mila donne.
Ada Lonni e Mara Tognetti (Percorsi dell’emigrazione femminile) ricordano che “Una balia arrivava a guadagnare il triplo di un operaio e le sue condizioni di vita erano ottime, soprattutto se comparate a quelle di altre lavoratrici domestiche come le lavandaie e le cameriere. La balia veniva ben nutrita e abbigliata con pulizia ed eleganza. Era tradizione donare alle balie anche gioielli, spille ed orecchini”.
Il mestiere di balia nelle famiglie facoltose italiane o estere ha avuto delle importanti ricadute sulle donne che lo hanno esercitato. Non va dimenticato, infatti, che il vivere in ambienti più colti e raffinati era occasione di stimoli, nuove conoscenze ed informazioni (dall’igiene all’abbigliamento al linguaggio ed al “bon ton”) che queste donne portavano con sé al rientro nelle loro famiglie.
La decisione di andare a fare la balia per le donne sposate e con famiglia, comportava la necessità di trovare tra le donne del paese una neomamma disposta ad allattare il figlio della aspirante balia insieme al proprio figlio. Per questa ragione si diceva che i due piccini diventavano “fratelli di latte” e spesso tra i due poppanti si veniva realmente ad instaurare un rapporto di amicizia e fratellanza. A questo proposito va ricordato che se il baliatico, oggi, non esiste più capita, però, che alcune mamme non possano allattare perché il loro bambino è nato prematuro: non hanno avuto il tempo di produrre latte o semplicemente non ne hanno una quantità sufficiente. La donazione del latte “trasforma tante neomamme in balie a distanza e tanti bimbi in "fratelli di latte”. In Italia ci sono 41 banche del latte: una anche a Reggio Emilia.
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Nella foto grande in alto il ritratto di Virginia (nonna di Lidia Moreni - Sologno) con in braccio la piccola Ariette di cui Virginia era balia nella città di Marsiglia (Francia) - anno 1914.
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